https://phenomenajournal.marpedizioni.it/phenomena/article/view/159/141
IIl tempo è lo spettacolo del divenire
Husserl
Nel personale cammino nei meandri delle scienze umane e delle scienze della cura (psicologica-psichiatrica), intendo interrogarsi sul senso della sofferenza dell’essere (in campo clinico) non tanto a partire dalle caratteristiche psicologiche e psicopatologiche (come in genere potrebbe fare uno studioso, clinico o ricercatore che applica una “analitica esistenziale” o una psicoterapia tradizionale) ma a partire dal concetto del tempo vissuto interiormente. Il tempo si presenta come luogo di accoglienza di accadimenti psichici singolari e collettivi: «Il tempo è lo spettacolo del divenire. Infatti, in qualsiasi modo lo si consideri, esso ha sempre a che fare con ciò che muta. E quand’anche nulla divenisse, l’esperienza del tempo sarebbe ugualmente esperienza del divenire sia pure inteso come fede nel divenire medesimo. L’implicazione tra tempo e divenire è vera in ogni caso, sia qualora si consideri il tempo come numero del movimento che come a priori della successione, che come quarta dimensione del mondo fisico, ossia della realtà cosmologica. L’esperienza del tempo, come modo d’esperienza del divenire, è, come il divenire, esperienza complessa…L’esperienza del tempo, in quanto esperienza, dà luogo, dunque, a modalità espressive variate e altrettanto complesse di temporalità: genera forme del tempo».1
L’esperienza (interna) del tempo nei pazienti, in quanto esperienza vissuta, dà luogo a modalità espressive variate e altrettanto complesse di temporalità. Tale complessità favorisce, solitamente, e genera universi simbolici e concettuali. Si tratta del tentativo di descrivere la relazione persona-temporalità descrivendo cosa accade (l’accadere dell’accadere) durante una crisi personale (ansiosa, depressiva-melanconica, maniacale, dissociativa) e di profonda sofferenza oscura. A volte il tempo, in special modo in alcune patologie (Alzheimer, malattie rare) sembra irrompere (e modificarsi) nel vivere quotidiano «quel che permane in questo modo nella coscienza ci appare come più o meno passato, quasi come qualcosa di sospinto temporalmente indietro».2 E’ chiaramente un tentativo di comprensione, nel campo psicologico individuale, che non sappiano ancora quali vantaggi, a livello clinico, possa arrecarci. Il tempo 3 in fondo accompagna il vivere quotidiano e non solo il vissuto psichico.
«La definizione dell’oggetto del proprio ricercare è un artificio in vari modi praticabile: quanto più la definizione è efficace a dire dell’insieme degli aspetti campali e quanto più è stabile, tanto più essa è intensionale ed astratta dall’accadere; quanto più è frammentaria, mutevole, incompleta tanto più tende ad essere estensionale e adesa all’accadere».4
Molti psicologi e clinici, sin dalle origini, hanno posto in evidenza diversi aspetti legati al tempo vissuto inteso come strumento di introspezione, analisi profonda, flusso della coscienza.
La sofferenza oscura del tempo, legata ad una malattia, è sempre legata alla storia personale (anche attuale e non solo passata), alla percezione di se stessi, al tempo vissuto, al mondo delle relazioni intersoggettive e, soprattutto, al senso del tempo che viviamo (nostalgia di come si viveva precedentemente ad una sofferenza, ad un tempo passato).
Ma ora possiamo, in linea generale, soffermarci sul tempo seguendo altri parametri. Il tempo può così essere considerato: 1) una forma mentis o abito mentale (positivo o negativo) delle esperienze cognitive che ci aiuta ad inquadrare il senso dell’esistenza, ovvero le diverse fasi dell’esistenza vitale (il ciclo della vita-tempo, il vissuto del passato e del presente, le aspettative del futuro, lo sviluppo, la crescita); 2) una modalità del pensiero prevalente del comprendere o preferenza rigida, “ossessiva”, sofferente nei confronti di una dimensione del tempo (del passato, del presente o del futuro); 3) una vissuto di densità (o quantità) del tempo (che può aprire orizzonti o chiudere situazioni esistenziali) che comporta vari contenuti cognitivi ed emotivi in relazione ai vari stadi della vita e ai percorsi legati all’orizzonte temporale (il tempo vissuto si potrà vivere dando spazio ad una condizione di partecipazione, di rifiuto, di ostacolo); 4) una prassi di cura: il tempo di cura (che si concentra sugli stati di benessere, serenità, tranquillità, capacità di autocontrollo) appare capace di contenere in sé una modalità terapeutica da parte del clinico. Il clinico può progettare e prospettare una nuova percezione del tempo nel paziente, proiettandolo nel futuro prossimo, valorizzando il mondo interiore in relazione agli altri “flussi di accadimenti”; può far si che il pazienti “consapevolizzi” il tempo vissuto, proteso verso ciò che sta per accadere (anticipazione di azioni e prassi, anticipazione della sofferenza oscura, autocontrollo); 5) una organizzazione mentale a livello cognitivo-affettivo (il tempo degli eventi accaduti interiormente che si possono ora ricordare, riafferrare); Appare chiaro che esiste un modo soggettivo di conservare dentro di sé, nei momenti difficili o felici della vita, il flusso del tempo trascorso (memoria del passato rispetto al presente-adesso, tracce, brandelli di ricordi).
«La dimensione temporale è da sempre elemento cruciale nella valutazione e nel trattamento dei disordini psichici, a partire dalle analisi fenomenologiche dei processi di pensiero, che ben distinsero tra tempo oggettivo, tempo del mondo, e percezione soggettiva del flusso temporale, tra tempo individuale e tempo sociale, tra memoria e anticipazione. Classici, in questo senso, sono stati gli approfondimenti sull’esperienza del tempo in alcuni specifici disturbi come per esempio nella depressione, nella quale la vita interiore si svuota di intenzionalità, si allontana dagli oggetti, che appaiono estranei e distanti, e l’inibizione pervade l’esistenza del paziente che si blocca fino all’immobilità, sia motoria che ideativa. L’appesantimento del corpo, la sua lentezza nei movimenti, diventano l’espressione di una fatica del vivere che si accompagna, nelle forme più gravi di depressione maggiore, a un senso di colpa acuto, perfino lacerante. Ecco allora che il tempo rallenta, fino ad arrestarsi, e tende a restringersi fatalmente la dimensione del futuro mentre si amplia la dimensione del passato, che assorbe il paziente nella disperazione per la perdita di un orizzonte, di una prospettiva. In questi casi si fa evidente la dissociazione tra il tempo soggettivo e il tempo del mondo, il tempo della clessidra».5
L’essere umano è l’unico “ente vivente” sul pianeta che può porre domande su se stesso e su ciò che lo circonda, a poter analizzare il proprio mondo interno, tramite la coscienza (la consapevolezza), la parola (il linguaggio), sul suo vissuto del tempo e le relative mutazioni in atto nell’intersoggettività (le mutazione possono essere descritte ed indagate mediante sia strumenti tecnici o neurobiologici e strumentali oppure mediante prassi psicologiche/intuitive).
Il tempo, quindi, è al centro di una riflessione sulle prassi di cura che ci si augura abbia dei risvolti applicativi nel campo psicologico/psicopatologico, Ci sembra che discutere del tempo vissuto con un paziente piuttosto che raccogliere le tracce del racconto narrato abbia un senso.
Anche riguardo al tempo e all’interpretazione del vissuto del tempo occorre tenere presente gli atti intensionali messi in atto dai pazienti, occorre tener presente lo slancio verso i significati che ognuno applica agli accadimenti/accaduti: il tempo vissuto interiormente cambia, muta aspetto, in relazione ai processi di significazione/significati che adottiamo in un dato momento nel quotidiano. L’intenzionalità della coscienza costituisce quindi un livello importante nella relazione terapeutica poiché anticipa e precede ogni riflessione, concettualizzazione e categorizzazione. Appare anteriore a qualsiasi astratta separazione tra noi e il mondo, tra il soggetto (io) e l’oggetto percepito (ciò che mi appare e si presenta dinnanzi alla persona).
Il tempo, interpretato a partire da un evento o vissuto interno, prende il significato che il vissuto emotivo o evento gli assegna (ci si può chiedere rispetto ad un accadimento se è un tempo sprecato, conquistato, piacevole, triste, allegro, condiviso, solitario?). Ogni paziente vive un tempo di solitudine come un evento a volte impossibile da vivere e, non solo, una relazione con il mondo ambiente, con se stesso e il mondo degli altri (intersoggettività). Ogni momento della vita è connesso alla relazione costante con la triade temporale che si compone del passato-presente- futuro.6 Tutta la vita si organizza tenendo presente i ritmi diversificati del tempo esterno (durata dell’orologio) e il tempo interno. Ovunque ci sembra che percorriamo il tempo.
«Da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo».7
Il tempo vissuto ci appare diverso poiché diversi sono i significati che applichiamo alla realtà percepita. Volendo possiamo schematizzare:
«La topica del tempo si dispone secondo tre dimensioni ed è perciò articolabile in tre schemi: 1) percezione del tempo; 2) strutture del tempo; 3) figure del tempo…Il primo modo d’esperienza si riferisce all’esperienza quotidiana del tempo, ossia al tempo descritto a partire dalla percezione immediata del divenire e quindi del trapassare. L’esperienza del tempo, così intesa, può essere quella continua dell’avvicendarsi e quella discreta dell’accadere. E’, comunque, un’esperienza che si colloca nell’ambito del rammemorare e dell’attendere. La percezione immediata del tempo non considera in sé la memoria e l’attesa, bensì semplicemente ricorda e attende, e quindi è attenta ai contenuti del trattenere e del trapassare. La quotidianità è intessuta da tali modalità percettive o, più propriamente, viene tessendosi e si produce in tali percezioni…La seconda dimensione entro cui si configura l’esperienza del tempo ha carattere fondativo ed epistemico. Essa intende attingere gli elementi ultimi della temporalità o, altrimenti detto, i caratteri costitutivi del tempo: appunto, le strutture della temporalità:.. si tratta di chiarire i nessi tra tempo e movimento, tempo e misura, tempo e durata. In questa prospettiva s’intrecciano ontologia, cosmologia e logica…Le figure del tempo non sono altro che espressioni qualitative della temporalità stessa…il tempo è successione, ma nella successione c’è insieme ciò che scorre e la misura del fluire come tale. La misura del movimento, come è noto, suppone l’unità di misura o, in ogni caso, a essa rinvia: ordo et mensura determinano per il tempo coordinate astratte».8
Abbiamo quindi tre luoghi (possibilità) entro cui ogni persona può concentrarsi sul tempo (percezioni del tempo, strutture del tempo, figure del tempo). In tali luoghi si configura l’esperienza illimitata del tempo/divenire (presente e futuro), si compongono, unendosi, persona, mondo, esperienza vissuta. Tali figure del tempo sono entità logicamente distinguibili anche se vissute interiormente, tra ideazione e sentimenti.
Tutto si lega al tempo in campo umano e psicologico. Infatti cosa sono le nostre percezioni quotidiane legate all’alternarsi delle stagioni, ai tramonti, agli addii, alle speranze di guarigione durante una cura psichica, se non aspetti di un’unica dimensione temporale?
L’universo che gli uomini abitano e l’emotività secondo cui lo viviamo sono impregnati di tempo. Tale temporalità si complica nella vita delle persone poiché in essa il tempo del mondo (dell’orologio e della programmazione delle cose da fare) si interseca con il tempo interiore (che segue le sue direttive), soggettivo, della persona, della sua storia sociale (tempo storico). L’esperienza del tempo non è solo di tipo percettivo-emotivo ma anche storico-epocale. Indubbiamente il tempo vissuto interiore rappresenta la risorsa soggettiva, umana e naturale più preziosa per una persona, per chi vive e deve fronteggiare una condizione di dolore o sofferenza oscura; si presenta come la fonte vitale, ineliminabile, di cui disponiamo e, il nostro rapporto con esso, ha conseguenze dirette sulla percezione di noi stessi e sulla nostra identità, sull’azione quotidiana, sul mondo dell’intersoggettività (il mondo dei rapporti).
Il tempo, così come lo viviamo e rappresentiamo, condiziona la qualità di vita e le nostre relazioni umane. In realtà si lega ad ogni decisione importante che assumiamo nel quotidiano, soprattutto dinnanzi alla scoperta di una malattia.
La relazione con il tempo dell’orologio (tempo durata) e con la temporale interna, costituiscono campi di ricerca, al fine di individuare obiettivi terapeutici importanti rispetto ai pazienti, per pianificare i ritmi temporali di una narrazione umana (la narrazione stagnante dei nevrotici, la narrazione triste dei depressi, la narrazione altalenante degli ossessivi, la narrazione fluttuante dei maniacali), le parole della cura individuale, le principali variabili cliniche, le caratteristiche delle persone e dell’esperienza nella cura, nonché le maggiori categorie di classificazione della personalità e della psicopatologia. «Perché ricordiamo il passato e non il futuro? Siamo noi a esistere nel tempo o il tempo esiste in noi? Cosa significa davvero che il tempo “scorre”? Cosa lega il tempo alla nostra natura di soggetti? Cosa ascolto, quando ascolto lo scorrere del tempo».9
Descrivere e spiegare il tempo vissuto dei pazienti non è una cosa semplice. Lo sforzo è quello di far comprendere che il tempo interiore (diverso dal tempo come durata e calcolo) può divenire un parametro importante per un percorso di cura. Può significare, prima di tutto, concentrarsi sul “come” (non sul perché) viene immaginato ed inglobato un vissuto durante la terapia.
L’adesso ovvero l’immediatezza del vissuto individuale può essere il principio descrittivo del cambiamento dalla modernità alla contemporaneità ed è una mutazione che riguarda la nostra condizione emozionale, la percezione del mondo, la sensibilità. «Adesso non è mai questo semplice adesso che c’è, eppure non sarebbe se non fosse adesso; ma vale anche l’inverso: adesso non sarebbe adesso ove mancasse l’adesso che c’è…L’adesso è nel tempo e lo misura. Ne sta fuori e dentro, gli sta innanzi e prima. Lo coglie e manca».10
Vista come principio attivo, da una parte l’immediatezza garantisce l’illusione di accesso a se stessi e agli altri, dall’altra impedisce di sviluppare solidi sensi e legami d’appartenenza, di costruire identità stabili, coerenti, basate sulla crescita personale lineare e continua, fatta di esperienze reali. Oggi tutte le coordinate del mondo sociale – tempo, spazio, coscienza, alterità – subiscono così un mutamento: il tempo che non è più orientato al futuro, bensì insiste sull’istante presente; la coscienza non è più rappresentabile spazialmente come un centro da cui si diparte una freccia che si muove articolando il proprio passato con la possibilità del futuro, bensì come una presenza diffusa in una rete; l’altro è colui a cui essere costantemente connesso, l’unico mezzo che, in quanto testimone oculare delle mie azioni e della mia presenza, può darle una qualche forma di concretezza e di esistenza reale. Ciascuna persona ha appreso, nel corso degli anni o intuitivamente, uno stile personale di vivere il tempo. Alcuni, infatti, possiedono una memoria forte rispetto al tempo passato mentre altri una forte propensione all’immaginazione/aspettative verso il tempo futuro. Due condizioni diverse rispetto al futuro e al passato che formano la personalità e i modi di vivere le relazioni umane e con se stessi. Esistono infatti persone che tendono a focalizzare, in maniera prevalente, la propria persona verso una o più di queste dimensioni temporali e meno in altre (alcune persone, ad esempio, possiedono uno stile depressivo e sono concentrate su eventi legati al loro passato negativo).
«Nell’irrompere del tempo l’eternità viene sentita come un arresto del tempo, come un “nunc stans”. Passato e futuro sono diventati così presenti in una visione chiara…L’universalità dello spazio e del tempo induce a fraintenderli come essere fondamentale; ma è errato assolutizzare spazio e tempo come l’essere stesso e la loro esperienza come l’esperienza fondamentale».11
La sofferenza oscura detta psichica, pertanto, è sempre legata ad un “tempo vissuto” senza poter spesso decidere nulla, alla storia personale, alla percezione di se stessi, al mondo delle relazioni intersoggettive e, soprattutto, al senso del tempo che viviamo e a volte sopportiamo.
Note bibliografiche
[1] Natoli S. Teatro filosofico. Gli scenari del sapere tra linguaggio e storia, Feltrinelli, Milano, 1991, p.9.
2 Husserl E., La coscienza interiore del tempo, Filema, Napoli, 2002, p.17.
3 Kant E., nella Critica della ragion pura definisce spazio e tempo come forme a priori, ovvero come qualcosa che ci è già dato, come qualcosa in cui noi siamo, come qualcosa con cui tutte le nostre impressioni sensibili devono necessariamente entrare in contatto. Nessuno - egli afferma - può pensare a un "prima" e a un "dopo" se non accetta l'idea che esiste una realtà, il tempo, che gli permette di farlo. Senza tempo non esistono i fenomeni; senza fenomeni invece il tempo sussiste tranquillamente. Il tempo ha una sola dimensione e i diversi tempi non sono insieme ma successivi (come diversi spazi non sono successivi ma insieme).
Il tempo - dice Kant - non è un concetto universale ma una forma pura dell'intuizione sensibile, che lo percepisce come un insieme. L'infinità del tempo unico è a fondamento delle quantità determinate di tempo, scrive Kant. Quella infinità può essere solo intuita, mentre queste quantità possono essere comprese in maniera concettuale.
4 Piro S., Trattato della ricerca diadromico - trasformazione, La città del sole, Napoli, 2005, p.23.
5 Tramonti F., Fanali A., Tempo, psicopatologia e psicoterapia (https://www.exagere.it/tempo-psicopatologia-e-psicoterapia/).
6 E’ cosa nota come alcuni individui vivano esclusivamente ricordando il passato vissuto, altri proiettandosi nel futuro che si annuncia o immergendosi in un eterno presente (negando il fluire del tempo, le mutazioni) dunque un proprio tempo emotivo altri, invece, trasformano il proprio arco/orizzonte temporale in un vissuto temporale specifico (emotivo) legato alle prassi. Non pensano al loro tempo ma lo vivono nella prassi, nel vivere quotidiano.
7 Anassimandro, cit. in Rovelli C., Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.
8 Natoli S. Op.cit., 1991, pp.10-12.
9 Rovelli C., Op.cit., 2017, p.14.
10 Husserl E., La coscienza interiore del tempo, Filema, Napoli, 2002, p.167.
11 Jasper K, Op.cit., p. 86.
Presidente Istituto di Psicologia e ricerche socio sanitarie (Formia, Italia). Ricercatore nel campo delle scienze umane ad indirizzo Antropologico-Trasformazionale Psicologo volontario presso l’Azienda dei Colli di Napoli–Centro regionale malattie rare (CRMR)
Bibliografia
Errico G. Le dimensioni molteplici della pratica sociale, La città del sole, Napoli, 2005.
Freud S., L’elaborazione del lutto. Scritti sulla perdita, Rizzoli, Milano, 2013.
Heidegger M., Essere e tempo, Oscar Mondadori, Milano, 2011.
Husserl E, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Angeli, Milano, 1981.
Husserl E., La coscienza interiore del tempo, Filema, Napoli, 2002.
James W., Principi di psicologia, Paravia, Torino, 1927.
Jasper K, Psicopatologia generale, Il pensiero scientifico editore, Roma, 2000.
Kant E., Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari, 1991.
Natoli S. Teatro filosofico. Gli scenari del sapere tra linguaggio e storia, Feltrinelli, Milano, 1991.
Piro S., Antropologia Trasformazionale. Il destino umano e il legame agli orizzonti subentranti del tempo, Franco Angeli, Milano, 1993.
Piro S. Critica della vita personale, La città del sole, Napoli, 1995.
Piro S., Introduzione alle Antropologie trasformazionali, La città del sole, Napoli, 1997.
Piro S., Trattato della ricerca diadromico – trasformazione, La città del sole, Napoli, 2005.
Rovelli C., L’ordine del tempo, Adelphi, Milano, 2017.
Tramonti F., Fanali A., Tempo, psicopatologia e psicoterapia (https://www.exagere.it/tempo-psicopatologia-e-psicoterapia/).
Solamente nel patico si e-siste
Masullo A. 2005
La ricerca non dimentica mai che svolgersi nel mondo umano
è, insieme, capire e vivere
Piro S. 2005
Chi scrive intende offrire un piccolo contributo all’analisi del proprio tempo utilizzando gli strumenti di cui dispone come “antropologo trasformazionale”2: un livello personale (l’analisi del tempo interiore e vissuto e non il tempo dell’orologio) e un livello collettivo-storico (la cronodesi3ossia legame con il tempo; con tale termine si intende il legame soggettivo all'accadimento catastrofale e ai risultati antropici degli orizzonti continuamente subentranti del loro tempo. L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando e la conseguente crisi economica stanno avendo importanti ricadute collettive, epocali, psicologico-sociali su tutta la popolazione. Una trasformazione senza precedenti sta interessando modalità di lavoro, abitudini, comportamenti, relazioni sociali e affettive.
«Ecco allora che il tempo rallenta, fino ad arrestarsi, e tende a restringersi fatalmente la dimensione del futuro mentre si amplia la dimensione del passato, che assorbe il paziente nella disperazione per la perdita di un orizzonte, di una prospettiva. In questi casi si fa evidente la dissociazione tra il tempo soggettivo e il tempo del mondo, il tempo della clessidra (Borgna, 1991)».4
Il lavoro quindi è volto alla descrizione e comprensione delle trasformazioni dell'orizzonte conoscitivo (il mondo dell’accadere) ed emozionale (il mondo di ciò che si prova) sequenzialmente derivate dall'agire interpersonale intenzionale singolare o gruppale di altri esseri umani.
Ma cosa sta accadendo in questo tempo, nel sociale e dentro le persone?5
Siamo tutti alla ricerca e alla riconquista di uno spazio di liberta individuale perduto?
«L’invito di mettersi “alla ricerca dello spazio perduto”, dunque, ci ha condotto all’esigenza di ripensare nuove forme di intreccio tra spazio e tempo. Se è vero, come ha detto Doreen Massey, come il tempo agostiniano, lo spazio è “la più ovvia delle cose”, ma la più difficile da definire e spiegare anche se evocata disinvoltamente nei contesti più diversi…, ne consegue un esito radicale: trovare il punto di saldatura tra “spazio vissuto” (luminosa espressione di Baudelaire) e “segni dei tempi”».6
Cosa sta realmente cambiando e quale orizzonte culturale ci attende o sta mutando dinnanzi ai nostri occhi, al punto da mutare le relazioni umane? Cosa ci attende nell’ambito delle relazioni umane? Per chi scrive, in questo tempo epocale di pandemia Covid19, si rischia di fare confusione di massa7su più livelli, sia a livello soggettivo che di comprensione della realtà. A peggiorare lo stato di cose una comunicazione scientifica di massa fuori controllo8, un costante bollettino di guerra tra i caduti, i salvati e i guariti. Tuttavia si possono comprendere i modi, le aspettative, le visioni future, le credenze, le paure, le ansie del futuro che stiamo sperimentando (ansie legate soprattutto alle visioni del futuro, alla condizione di privazione).
Oggi appare fondamentale l'importanza dell’altro (la socialità) ed il valore di trovare dei momenti sociali per condividere, come ieri, le nostre esperienze con gli altri9 nel tentativo di riappropriarci di spazi di vita, di riassaporare la libertà di scelte considerate sino a qualche tempo fa, “normali”: il desiderio di uscire, di rientrare a casa, di vedere un amico, di mangiare in un ristorante, ecc. Ora le nostre preoccupazioni e paure ed anche le nostre risorse, sono ampiamente connesse con un mondo digitale che pone una distanza tra i corpi viventi, ma non tra i corpi e le macchine digitali (pc, smartphone). Oggi, con maggior forza, l'utilizzo delle nuove tecnologie ci impone un “mondo nuovo”.10
Le norme di distanziamento sociale e gli obblighi del lockdown imposti dalla pandemia di Covid-19 stanno cambiando molte delle nostre abitudini e molti professionisti hanno dovuto riadattarsi a nuovi strumenti per seguire i propri pazienti.
Anche la psicoterapia ha dovuto familiarizzare con questa nuova realtà, fatta di webcam e computer connessi, archiviando per necessità le molte resistenze di tanti dottori a superare il rapporto fisico. In sostanza il recente scoppio, improvviso e inarrestabile, della malattia infettiva del coronavirus ha afferrato il mondo con apprensione e ha suscitato uno spavento di proporzione epica per quanto riguarda il suo potenziale di diffusione e infezione degli esseri umani in tutto il mondo.11
Mentre la pandemia è in corso, gli scienziati provenienti da ogni disciplina (virologia, psicologi, medici, ecc.) stanno lottando per capire come assomigli e differisca dalla grave sindrome respiratoria acuta coronavirus a livello genomico e trascrittomico.12
Certo che l’attività psicologica, ancora una volta di-staccata del mondo medico13 si rende necessaria, ora più che mai, per superare tale situazione storica ed epocale del Covid19, che sta modificando il tempo vissuto individuale e le relazioni intersoggettive, nel bene e nel male, ossia l’intero mondo umano.14
Ogni emergenza, sia essa sanitaria o sociale, crea una sorta di “spaccatura” nel tempo vissuto,15 tra un prima, un durante e un dopo, una interruzione della logica del destino (futuro, avvenire), un'emergenza psicologica individuale. Per porsi al di là del guado si richiede comprensione, autoriflessione, nuovi adattamenti e visioni dell’accadere, forme nuove di competenze, abiti mentali e interventi specifici, spesso non delegabili ad altre figure professionali ma affidati a noi stessi. 16
Il virus insegna che corpo e psiche appartengono allo stesso livello, che nulla può essere certo in una società basata sullo scambio e che la scienza non potrà mai, del tutto, frenare la paura della morte, la sofferenza globale della persona. Sappiamo oggi che l’impatto psicologico della pandemia in corso sta creando difficoltà significative nei modelli di vita (stili, abiti mentali) a singoli, famiglie, organizzazioni, cui gli psicologi possono e devono dare risposta garantendo – con adeguate modalità attuative e attente misure di sicurezza – l’assistenza ai cittadini che ne necessitano, e ne necessiteranno anche nel medio-lungo termine. La coscienza del tempo e del destino ora divengono temi fondamentali. 17
Occorre chiedersi ora, durante questa
nuova fase, quanta della paura vissuta rimanga dentro e fuori di noi, negli
atti quotidiani. La paura è uno stato emotivo innato, una risposta primitiva ed
antica, adattiva di fronte ad una situazione di pericolo immanente, reale e o
immaginato: sperimentarla è essenziale, se si vuole sopravvivere. Tuttavia può
accadere che la reazione alla minaccia, così ampiamente diffusa sui media e tv
nazionali 18 sia
sproporzionata rispetto alla sua reale pericolosità portandoci ad esagerare
comportamenti e a rispondere in maniera non più funzionale, utile, vitale,
creando uno stato di iper-allerta (agitazione) che può essere nocivo per la
salute mentale, persino (come suggeriscono molte ricerche biomediche e
sanitarie) per il nostro sistema immunitario e per il nostro benessere
interiore, psicologico. È normale di
fronte a questa emergenza avere paura ma stiamo attenti agli eccessi che
possono generare stati di panico, preoccupazione e ansia generalizzata, psicosi
individuali e collettive. Il modo con cui percepiamo un potenziale pericolo,
infatti, dipende dai nostri “atti intenzionali” dal significato che attribuiamo
agli accadimenti umani, all’accadere
dell’accadere (Piro, 2005), alla valutazione del rischio che ne facciamo che, a
volte, non si basa solo su criteri oggettivi, dati statistici e numeri ma anche
su variabili soggettive (appunto interpretative) ovvero è influenzato dal modo
con cui analizziamo, valutiamo, percepiamo la realtà esterna e da come
valutiamo e interpretiamo gli eventi che accadono intorno a noi. Viene allora da chiederci come è possibile
individuare i mutamenti umani, a fini terapeutici, se non analizzando gli atti
intenzionali legati al tempo vissuto nelle persone, costrette da un lato ad
organizzare un nuovo adattamento. Il tempo interiore, quando si vive una malattia, ci cambia, ci
rende vulnerabili, fragili, incerti dinnanzi al senso del futuro. E’ il luogo in cui tutti i pensieri prendono
forma, sia quelli positivi che quelli legati al dolore oscuro. Quando
“perdiamo” il tempo (nel senso che non ci dedichiamo attenzioni) o lo conquistiamo
(nel senso che ci dedichiamo attenzioni) proviamo varie emozioni come
sofferenza o gioia. Inoltre quando non ci accorgiamo che accompagna idee,
pensieri e stati d’animo, i nostri
vissuti emotivi prendono varie forme, aspetti, a volte sembriamo cadere dalle
nuvole (presa d’atto di vivere il tempo), siamo quasi trasportati dal flusso
del divenire, dalla sensazione di essere trasportati al di là del presente.
[1] Sergio Piro, docente di psichiatria, clinica delle malattie nervose e mentali, psicologia sociale, è stato uno dei personaggi più autorevoli nell'ambito della psichiatria italiana. Autore di circa duecento fra saggi, libri e studi monografici, ha prestato la sua opera presso numerose strutture psichiatriche pubbliche (territoriali ed ospedaliere). Alla fine degli anni ottanta ha formato numerosi medici e psicologi, ricercatori e studenti nell’ambito delle attività della Scuola Sperimentale Antropologico trasformazionale dell’USL 41 della Regione Campania.
2 L'Antropologia trasformazionale di Sergio Piro si è costituita gradatamente come possibile campo unitario della conoscenza del mondo degli eventi umani e delle loro trasformazioni, come risultato cioè di una complessa ricerca linguistica, semantica, fenomenologica, psicologica, psicopatologica, psicoterapeutica, pedagogica, didattica: «Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici (mutevoli entrambi storicamente e topologicamente, cioè diacronicamente e sincronicamente): questo è il quadro operazionale che direttamente deriva dalla consapevolezza fenomenologica della complessità» (Piro, S.: 1993). Più specificamente si indica con il termine di antropologia trasformazionale cronodetica ciò che è volto alla descrizione e alla ricerca scientifica sulle trasformazioni dell'orizzonte conoscitivo ed emozionale sequenzialmente derivate dall'agire interpersonale intenzionale singolare o gruppale di altri esseri umani e ciò che è volto alla descrizione e alla ricerca su questo agire interpersonale intenzionale (sui modi, sugli strumenti e sugli scopi).
3 Il termine è stato introdotto dallo psichiatra Piro. Chi scrive si è formato nell’ambito dell’Antropologia trasformazionale di Sergio Piro alla fine degli anni ottanta. Tale disciplina è, in primo luogo, la storia di una lunga e complessa ricerca che parte dall'analisi semantica del linguaggio schizofrenico e dalla psicopatologia generale per estendersi alla didattica sperimentale nel campo psicologico-psichiatrico e alla psicoterapia. L'impegno fondamentale del volume è lo studio delle attività volte alla conoscenza di altre attività umane; questa attività conoscitiva si serve prevalentemente di strumenti linguistici cioè di parole e frasi e, come ogni altro atto di conoscenza, consiste in una trasformazione dell'osservante e dell'osservato. Molteplicità di strumenti antropologici di osservazione e molteplicità di osservati antropici: questo è il quadro operazionale che il volume tenta di affrescare sia nelle grandi linee generali della fenomenologia e della metodologia sia nella specificità della sperimentazione didattica e psicologica. L'antropologia trasformazionale va configurandosi così come l'organizzazione disciplinare provvisoria della ricerca sulle interferenze catastrofali di eventi umani e sui mutamenti che ne derivano. Dunque l'orizzonte disciplinare non è solo quello della "terapia" nell'alterità sofferente, ma anche quello dell'insegnamento, dell'incontro, della formazione di sottosistemi umani, dei differenti linguaggi, dialetti e gerghi nel campo antropico continuo.
La concezione originale e complessiva che ne risulta sembra spostare in avanti il panorama della ricerca in psichiatria, in psicologia clinica, in linguistica generale, nell'intero campo delle scienze umane applicate.
4 Tramonti F.- Fanali A., Tempo, psicopatologia e psicoterapia (https://www.exagere.it/tempo-psicopatologia-e-psicoterapia/).
5 Quando immaginiamo la diffusione del covid19, invisibile e potenzialmente mortale qual è il coronavirus, che sta contagiando migliaia di persone in Cina e che è approdato in Italia, possiamo comprendere che la percezione del rischio cresca inesorabilmente. Ci sentiamo personalmente vittime di questa pandemia, senza alcun controllo sulla minaccia. L’angoscia sostituisce la paura verso un nemico sconosciuto da fronteggiare.
6 Marramao G., Spatial turn: spazio vissuto e segni dei tempi, Quadranti-Rivista Internazionale di Filosofia Contemporanea, Volume I, nº I, 2013.
7 Ciò viene confermato dal fatto che notizie simili sui media prendono direzione diverse relativamente alla linea politica-divulgativa adottata.
8 Ogni giornalista televisivo sembra aver scelto il proprio virologo esperto di turno per fare informazione mentre i contrasti di opinione, le face sulla cura e i vaccini diventano virali.
9 In tale periodo appare chiaro che sono in via di mutamento alcuni concetti e modalità di vita: i legami umani e il senso di appartenenza, l'azione del legarsi agli altri individui, il senso di unione nella vita della donna e dell'uomo, la trasformazionalità intrinseca di tutti gli eventi umani che scatenano conseguenze e conseguenze di conseguenze, il legame al tempo del destino umano (cronodesi). Nel contempo stanno mutando le modalità del linguaggio, i modi del narrare le interferenze catastrofali degli eventi umani, le relazioni umane, le traiettorie, la storia dei legami. Temi nuovi si presentano alla ricerca psicologica: sentimento, distanza, appartenenza, relazione.
10 È per questo che, nell'ambito delle attività curative online si condivide la propria esperienza, facendo domande, ricevendo informazioni e questo anche in relazione alla nuova fase di progressiva riapertura degli spazi di vita e del lavoro che ci apprestiamo a vivere, che portare con sé nuove preoccupazioni e domande.
11 Baig A, Khaleeq A, Ali U, Syeda H. Evidence of the COVID-19 Virus Targeting the CNS: Tissue Distribution, Host−Virus Interaction, and Proposed Neurotropic Mechanisms ACS Chem. Neurosci. 2020 https://dx.doi.org/10.1021/acschemneuro.0c00122
12 In breve tempo dopo l'epidemia, è stato dimostrato che, simile a SARS-CoV, il virus COVID-19 sfrutta il recettore dell'enzima 2 di conversione dell'angiotensina (ACE2) per ottenere l'ingresso all'interno delle cellule. Questa scoperta aumenta la curiosità di indagare sull'espressione di ACE2 nel tessuto neurologico e di determinare il possibile contributo del danno del tessuto neurologico alla morbilità e alla mortalità causate da COIVD-19. Qui, studiamo la densità dei livelli di espressione di ACE2 nel sistema nervoso centrale, l'interazione ospite-virus e la mettiamo in relazione con la patogenesi e le complicazioni osservate nei recenti casi risultanti dall'epidemia di COVID-19. Inoltre, discutiamo della necessità di un modello per la stadiazione di COVID-19 basato sul coinvolgimento dei tessuti neurologici.
13 Oggi si ragiona ancora utilizzando vecchi e antichi paradgmi legati al metodo cartesiano: da un lato, si pensa, occorre curare il corpo e, dall’altro (quando ormai il panico e l’angoscia ha recato danni) la psiche.
14 L‘ attività professionale psicologica ("comprovate esigenze lavorative e di salute"), da DPCM 9 marzo 2020, 11 marzo 2020 e 22 marzo 2020 - afferendo ai codici Ateco 86 – ha continuato a svolgersi; previo ovviamente il più rigoroso rispetto delle misure igienico-preventive del Ministero della Salute, già ripetutamente indicate, e che sono state applicate con particolare attenzione da tutti i professionisti sanitari. Il principio di fondo, che ciascuno è stato tenuto a rispettare attentamente, è stato quello di minimizzare il più possibile tutte le attività in presenza, per rinviarle o sostituirle ogni qual volta sia stato praticabile con altre modalità di interazione (videochiamate, consulenze telefoniche, smart working.). Ciò a ridotto al massimo la mobilità dei pazienti e dei professionisti sul territorio e dando l’illusione che si possa aiutare qualcosa senza vederlo dal vivo, senza incrociare il suo “corpo vitale”.
15 Con ciò chi scrive intende evidenziare come il vissuto del tempo, durante un momento di crisi, crei a livello individuale una separazione dentro la psiche sino ad attivare un confronto tra ciò che si immagina e ciò che accade.
16 Con questa consapevolezza il CNOP – si è mosso su due linee di attività: a) Rappresentare alle Istituzioni e alla società l'importanza degli aspetti psicologici e le potenzialità della professione nella risposta all'emergenza; b) promuovere linee di intervento idonee a sostenere la collettività e segnare visibilmente la presenza della professione. La seconda linea di azione ha portato alle iniziative di: 1) #psicologicontrolapaura, basate soprattutto su informazione ed orientamento (vademecum, linee guida antistress, ecc.) con una importante visibilità mediatica; e 2) #psicologionline, basata sull'attivazione di un motore di ricerca per interventi psicologici a distanza (tutti con onorario tranne un primo colloquio opzionale gratuito). Ma anche a molteplici iniziative promosse dagli Ordini territoriali, dalle associazioni di psicologi dell'emergenza, da società scientifiche, dalla comunità professionale in generale. Tale attivazione, è stata ed è necessaria ed importante, ma va vista come complementare alla indispensabile azione che deve fare il Sistema pubblico, in modo da affiancare l'intervento psicologico a quello sanitario complessivo, con la stessa dignità ed efficacia. L'intervento psicologico è infatti parte di quello sanitario e deve essere assicurato in primis dalla Protezione Civile e dal Servizio Sanitario in forme coordinate a livello nazionale e regionale, mediante l'utilizzo degli psicologi del SSN, del volontariato accreditato in PC e mediante la indispensabile assunzione di tutti gli psicologi necessari (come consente il DL 9 marzo n.14).
17 Numerosi neuroscienziati stanno cercando di capire quali siano le basi neurali della nostra capacità di percepire la continuità del tempo. Sembra che la nostra percezione dello scorrere continuo delle realtà sia un’illusione magistralmente costruita dal nostro cervello. La natura della nostra coscienza del tempo è stata al centro del dibattito filosofico e scientifico agli inizi del XX secolo, quando il filosofo e matematico Edmund Husserl ipotizzò che il senso di continuità temporale da noi esperito non sia altro che l’integrazione di singoli momenti che si susseguono. Sappiamo, allo stato attuale, che tutti noi viviamo il tempo come durata, breve e fugace, un fluire costante, ma questo flusso costante altro non è che un’illusione creata da alcune aree del nostro cervello. Uno dei pionieri dello studio della percezione del tempo fu lo scienziato ed esploratore Karl von Baer il quale, attorno alla metà del 1800, teorizzò l’esistenza di quello che definì un “momento”, inteso come il più breve intervallo di tempo del quale siamo consapevoli. Egli ipotizzò che la durata di questi momenti potesse differire nelle diverse specie animali, in virtù delle loro diverse caratteristiche biologiche e ambientali.
18 Incombe oggi un altro virus: la comunicazione digitale di massa, inarrestabile sui sociali, il tam tam incessante di notizie sui media, da parte di ogni cittadino, spesso allarmistiche e non ufficiali. Ciò sta generando un panico irrazionale e controproducente. Il pensiero induce a pensare che se tutti ne parlano e lo fanno in modo catastrofico, allora sarà sicuramente catastrofe certa per la popolazione. Molti psicologi consigliano di fronteggiare questa situazione di straordinaria emergenza con cautela, calma e facendo giusti controlli: informandosi bene e facendo affidamento sui dati reali del Ministero della Salute e della Organizzazione Mondiale della Sanità.
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